Der Flüchtlingspfarrer

Gedenkstätte für die Opfer aus Istrien und Dalmatien
Veröffentlichungsdatum:

22.12.2021

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Don Felice Odorizzi, der „Flüchtlingspfarrer“, wurde 1888 in Flavon im Nonstal (TN) geboren und 1912 zum Priester geweiht. Nach dem Ersten Weltkrieg wurde er ins Bistum Parenzo-Pola (Poreč-Pula) versetzt, wo er fortan als Seelsorger tätig war. Nach der endgültigen Einverleibung der Stadt Pola (Pula) durch Jugoslawien wurde Don Odorizzi, wie so viele andere, 1947 auf dem Seeweg aus der Stadt evakuiert und zunächst an Bord des ehemaligen Lazarettschiffes „Toscana“ auf die italienische Seite der Adria gebracht. Von dort aus übersiedelte er nach Bozen, wo er bis zu seinem Tod im Jahr 1980 lebte.

Für die Bewohner von Pola war Don Felice Odorizzi in der Zeit des Massenexodus eine wichtige moralische Stütze. Sein Einsatz, der weit über sein seelsorgerisches Wirken hinausging, ist bis heute unvergessen. Er koordinierte die Einschiffung der Flüchtlinge und die Verladung ihrer Habseligkeiten, beschaffte Ausreisedokumente und Gebrauchsmaterial (so auch die Nägel zum Verschließen der zu verschiffenden Holzkisten). Gemeinsam mit dem Verantwortlichen des Nationalen Befreiungskomitees von Pola Giuseppe Martinolli war Don Odorizzi 1946 mehrmals zu Besuch in Südtirol und im Trentino, wo er nach Unterkünften für die Geflüchteten suchte.

Mons. Felice Odorizzi und Irene Dolzani (Quelle: Arena di Pola)

Auszug aus einem Bericht von Don Felice Odorizzi über seinen Aufenthalt in Südtirol und im Trentino, November 1946:

“E’ questa la quarta volta che mi reco nel Trentino per trovare alloggio e lavoro ai nostri cari profughi polesani sempre efficacemente coadiuvato dal Comitato regionale della CRI di Trento e specie dalla dinamica segretaria Fiorentini che tanta parte ebbe ne difficile lavoro che ha portato ad assicurare l’alloggio a 2700 persone più 500 fanciulli nei dintorni di Riva sul lago di Garda, quasi a richiamo del magnifico mare nostro. Alloggio che diventa intanto il primo passo, forse il più importante, per sottrarre i nostri profughi ai tristi campi di concentramento. Saranno distribuiti questi nostri nelle singole famiglie tutti fuori di città (già più che sature d’altri esuli) con speciale riguardo ai desideri dei singoli gruppi, e possibilmente secondo le esigenze di lavoro, scuola, impieghi, affar ecc. Così che le famiglie di questi alunni, operai, impiegati sieno più vicine ai centri dove i propri cari svolgono il loro programma. La prefettura di Trento ha invitato tutti i comuni della provincia a riferire sulla capacità recettiva; finora hanno risposto 52 per l’accoglimento di 2700 unità; resta ora da sapere la capacità dei singoli locali per disporre il collocamento dei profughi. Anche per la sistemazione degli assistiti dall’Eca e delle orfane di guerra del Sacro Cuore e forse anche delle Giuseppine, le pratiche sono a buon punto; tra la zona di Torbole e di Riva s’attende la risposta tra giorni. Insieme col bravo giovane Martinolli ci siamo recati a Bolzano dal viceprefetto Pussini di Pola che ha promesso in pieno tutto il suo appoggio insieme col dottor Maniago della postbellica; indi dall’ingegnere capo del genio dottor Lubich di Trieste che ci ha riferito del vasto programma di lavoro che sarà fissato per la prossima primavera e che richiederà muratori, pittori, manuali meccanici, minatori. Il più grande problema resta sempre quello degli alloggi per le famiglie perché le singole ditte dispongono di baracche per i propri operai. L’assunzione viene fatta, ci si disse, dalla camera del lavoro e dall’ufficio di collocamento dove pure ci siamo portati e il dottor Schettini ci ha detto di presentare i nominativi dei disoccupati e farà del suo meglio per dar loro del lavoro. Ritornati a Trento abbiamo interessato il viceprefetto Gigolla, l’ingegner capo Anesi, la camera del lavoro il cui segretario Negri farà il possibile per assicurare l’assunzione degli operai che noi presenteremo, malgrado si lamenti anche colà forte la disoccupazione. Anche i direttori delle centrali elettriche di Vezzano, di S. Giustina, di Molveno hanno assicurato ogni appoggio. Anche l’arcivescovo di Trento ha pregato i parroci della diocesi per un vivo e fraterno interessamento ed assistenza dei nostri polesani. (…) In merito all’esodo la Croce Rossa di Trento suggerisce una serie di gruppi di profughi o scaglioni e relativo trasporto dei mobili fino a Marghera per istradarli poi sui pronti convogli ferroviari con centro di smistamento a Trento. I profughi saranno per poche notti ospiti delle aule scolastiche riscaldate e di là smistati ai singoli paesi. Suggerisce anche un importo di denaro da depositare alla banca così da distribuire sollecitamente i sussidi od altri pagamenti urgenti da saldare. Non occorrerebbero così magazzini di deposito e trasporti molteplici di mobili, moltiplicando spese e rotture che danneggiano e stato e privati. Suggerisce che tra i primi convogli dovrebbero essere gli assistiti dalla beneficenza ed orfane di guerra come settore più delicato e degno di maggiori attenzioni e premure. Meglio sarebbe iniziarlo prima dell’inverno più rigido per non trovarsi in viaggio quando iol freddo è più intenso, il viaggio più incerto e i pericoli per la salute più frequenti. Suggerimenti dettati dall’esperienza di tanti anni di guerra e di sfollamenti; pratiche che confermiamo anche noi quando si sfollava in Friuli. Ecco per sommi capi quanto si è potuto fare nel Trentino e nell’Alto Adige.”

Aus: Pasquale de Simone (Hrsg.), “La strada controversa dell’ultima difesa”, Atti e memorie del C.L.N. di Pola, L’Arena di Pola, Gorizia, 1962, S.74-75

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